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Disconnettori ed alimentazione idrica negli impianti termici a vaso chiuso

La diffusa metodologia di alimento idrico degli impianti termici a vaso chiuso fa presupporre una scarsa conoscenza dell'art. 8.2.2 della norma UNI9182 titolata "Criteri di progettazione, collaudo e gestione degli impianti di alimentazione e distribuzione dell'acqua fredda e calda".
Questa norma di fatto ammette sono due modi di allaccio all'acquedotto delle utenze con pericolo di contaminazione per ritorno di acque inquinate (tra cui rientrano anche gli impianti termici): tramite vasca di separazione (caso naturale per gli impianti a vaso aperto) o tramite disconnettore idraulico.

E' ovvio che nel caso degli impianti a vaso chiuso la vasca di separazione non risulta di conveniente applicazione in quanto si avrebbe il grave svantaggio di "azzerare" l'energia di pressione disponibile dall'acquedotto costringendo quindi a spendere nuovamente energia per la successiva pressurizzazione.
Pertanto solo l'impiego dei disconnettori idraulici, veri gioielli sia per tecnologia che per costi, risulta l'unica soluzione idonea per la prevenzione dalla contaminazione della rete idrica di alimento, ma per contro risultano relativamente ingombranti, necessitano di una tubazione di convogliamento in scarico dell'acqua di ritorno e spesso risulta necessaria la pulizia delle sedi di tenuta ad ogni intervento del disconnettore.
L'adozione di queste disposizioni, che il senso pratico degli installatori giudica eccessivamente severe, fa si che vengano ad essere completamente disattese.
Infatti la stragrande maggioranza degli impianti termici a vaso chiuso impiegano semplici valvole di non ritorno a prevenzione dell'inquinamento dovuto al riversamento dell'acqua dell'impianto termico nella rete idrica di alimento, condizione di grave eccezionalità che avviene quando per qualche anomalia di esercizio la rete idrica di alimento presenta una pressione minore di quella esistente nell'impianto termico.
Da rilevare che spesso anche il progettista "dimentica" nei propri capitolati d'appalto l'utilizzo di disconnettori.
Non per ultimo anche l'ISPESL, unico Ente controllore della regolare esecuzione degli impianti termici, non si preoccupa di verificare l'esistenza del disconnettore in quanto non previsto dalle "sue" norme tecniche.
Tutto ciò fa si che per la stragrande maggioranza degli termici a vaso chiuso la valvola di ritegno costituisce l'unica protezione dall'inquinamento idrico dalle acque di ritorno degli impianti tecnologici.
Allora sono leciti questi interrogativi:
- Serve veramente il disconnettore?
- Quanta acqua può trafilare da una comune valvola di ritegno?
- L'acqua dell'impianto termico costituisce un grave rischio per la salute?
Una risposta razionale potrebbe stabilire sia l'inutilità del disconnettore che decretarne la sua indispensabile utilità, tutto dipende dalla disponibilità ad accettare il rischio ovvero il risultato del prodotto tra frequenza dell'evento e danno conseguente.
Personalmente ritengo che l'evento pur avendo una probabilità di frequenza molto bassa costituisce un rischio comunque non accettabile per le gravi conseguenze a danno della salute umana, ma soprattutto penso che questo sarà il giudizio conclusivo del Pretore che dovrà sentenziare su quei incidenti, rari quanto si vuole ma che talvolta capitano.